Elkann: "Non vendo la Juve". Ecco cosa si decide nell'assemblea di ottobre

«Le ipotesi ventilate da un quotidiano sulla cessione della Juventus sono destituite di ogni fondamento». Un tempestivo comunicato di Exor, la holding della famiglia Agnelli che possiede il 63,8% della Juventus, smentisce in modo perentorio la notizia che apriva l’edizione di ieri de “Il Giornale”, secondo il quale John Elkann starebbe pianificando la cessione del club bianconero. Alla base della decisione, secondo la ricostruzione del quotidiano milanese (la cui proprietà è passata, la scorsa settimana, dalla famiglia Berlusconi alla famiglia Angelucci), ci sarebbe l’insostenibilità della gestione finanziaria della Juventus, club che sta fronteggiando una crisi economica dovuta a una serie di rossi di bilancio. Ma da parte di Exor arrivano messaggi in netto contrasto con questo scenario e un certo fastidio, condiviso anche con i vertici del club, per una notizia che avrebbe potuto avere effetti destabilizzanti sul titolo di Borsa (effettivamente partito in netto rialzo, poi stabilizzatosi). 

Non è la prima volta che circolano voci sulla possibile cessione del club da parte della famiglia Agnelli/Elkann: le prime risalgono al 2006, nei mesi successivi alle controverse vicende di Calciopoli, poi periodicamente sono riemerse, insieme ai racconti dei dissidi famigliari. Nel frattempo la Juventus non ha mai cambiato la proprietà e non la cambierà adesso. Nessuno può avere ragionevoli certezze sull’eternità della proprietà Agnelli/Elkann del club, ma sono in pochissimi a vedere una cessione del club nel breve periodo. 
È vero, John Elkann non è esattamente entusiasta delle condizioni economico-finanziarie del club e lo testimonia in modo lampante la scelta di un gruppo di amministratori molto attenti per rifondare il gruppo dirigente che si era dimesso, Andrea Agnelli in primis, dopo l’aggressiva inchiesta della Procura di Torino (che non era titolata a indagare, ma questa è un’altra storia). È vero, anche fra i rami meno visibili della famiglia, c’è chi mugugna sui costi esagerati del “giocattolo” e invita calorosamente John a non metterci più un euro. È perfino vero che, considerando un orizzonte di lungo termine, John possa essersi interrogato sul business del calcio e la sua insostenibilità. Lui che il progetto Superlega lo aveva visto in modo positivo, come una possibilità di modernizzare l’ottocentesca industria del pallone, ora attende la serie di possibili svolte che potrebbero cambiare in modo radicale il mondo del calcio: dalla sentenza sulla Superlega, che la Corte di Giustizia Europea potrebbe pronunciare fra ottobre e novembre, aprendo o chiudendo un nuovo modo di intendere il pallone come business, fino alle reazioni dell’Unione Europea rispetto all’espansione del mondo arabo e, in particolare, dei sauditi. Finora nessuno si è espresso, ma striscia la preoccupazione che un perno economico, politico e sociale dell’Europa sia in qualche modo a rischio: il calcio, da tempo, non è più solo un gioco, ma un meccanismo di accesso al potere. Insomma, John osserva e fa i suoi calcoli, considerando cosa significhi per una famiglia possedere un club nell’era in cui si compete con i fondi sovrani, ma la cessione della Juventus non è un’idea che finora ha preso in esame. Anzi, al momento, le sue intenzioni sono quelle di ristabilire il sereno nel club, passato da un paio d’anni burrascosi.

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